L’approdo della giurisprudenza di merito in punto qualifica di Consumatore ed abusività della clausola di deroga all’art.1957 c.c – Nota a Tribunale di Firenze n.2807 del 4 ottobre 2023

Con la pronuncia in commento, il Tribunale di Firenze torna a far riflettere sull’importanza del vaglio delle circostanze di fatto ai fini del riconoscimento a favore di una persona fisica della qualifica di Consumatore, quale presupposto della tutela dalle clausole contrattuali abusive, secondo la normativa di favor consumeristica.

In particolare, la sentenza ritorna sul tema della necessità per l’interprete:

            – di lasciarsi guidare da un criterio funzionale ed oggettivo al fine di attribuire (o meno) ad un soggetto la qualifica di Consumatore (ribadendo l’intervenuto superamento della teoria del cd. “garante di riflesso”);

            – di spostare il metro di valutazione dal soggetto garantito al soggetto garante per approdare, come diretta conseguenza del riconoscimento della qualifica di Consumatore, alla soluzione, appena sancita dalla Suprema Corte con Ordinanza n.27558/2023 del 28 settembre ultimo scorso, di ritenere abusiva la clausola di deroga all’art.1957 c.c. ai sensi della Direttiva n.93/13/CEE e del Codice del Consumo.

Il Tribunale di Firenze ha indirizzato e fondato la propria statuizione sulla qualificazione dell’opponente quale Consumatore e sull’abusività della clausola di deroga all’art.1957 c.c., ritenendo tali due aspetti dirimenti ai fini del decidere.

In primo luogo, il Giudice fiorentino ha ritenuto sussistente il presupposto soggettivo di applicazione della disciplina di cui al Codice del Consumo (D.lgs 206/2005), ossia ha ritenuto di poter qualificare il garante opponente quale Consumatore.

La Direttiva 93/13/CEE (art. 2 lett.b) ed il Codice del Consumo (art.3), che ha recepito la Direttiva stessa nell’ordinamento italiano, definiscono Consumatore “qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale.

Come correttamente affermato nella sentenza che ci occupa, si è pertanto in presenza di un soggetto Consumatore quando si realizzino cumulativamente due condizioni: l’essere il soggetto persona fisica e il non avere lo stesso agito nella sottoscrizione del contratto di garanzia per finalità professionali o imprenditoriali, bensì per esigenze riconducibili all’alveo della vita privata e delle quotidiane esigenze (criterio cd. funzionale ed oggettivo).

Sotto questa angolazione dunque è Consumatore la persona fisica che abbia rilasciato la garanzia senza che sia possibile creare alcun apprezzabile collegamento funzionale tra la sottoscrizione del contratto e l’attività professionale o imprenditoriale eventualmente esercitata dal contraente.

Prosegue poi il Giudice monocratico rilevando correttamente che nell’ipotesi in cui si controverta della qualifica di Consumatore in capo al garante, “spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa ad un contratto idoneo aa rientrare nell’ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie concreta, se il contraente possa essere qualificato come consumatore ai sensi della suddetta direttiva”.

Ebbene, svolto tale esame, lo stesso Giudice rileva che, nel caso di specie, da un lato l’opponente è persona fisica ed ha dedotto di aver sottoscritto la garanzia per scopi estranei alla propria attività professionale o imprenditoriale (essendo lo stesso “legato presumibilmente da rapporti di tipo personale con il debitore principale”) e d’altro canto parte opposta ha solamente affermato che è necessario far riferimento alla società debitrice principale per escludere la qualifica consumeristica in capo al fideiussore.

Coerentemente alla giurisprudenza unionale e nazionale il Giudice di merito ha dunque reputato, alla luce dei suddetti rilievi, oramai definitivamente superata la teoria del cd. garante di riflesso, anche grazie all’intervento delle SSUU n.5868/2023 secondo cui “il fideiussore persona fisica non è professionista di riflesso, non essendo quindi tale solo perché lo sia il debitore garantito”.

In chiosa di tale ragionamento, il Tribunale ha affermato un importante principio in punto prova della qualifica di Consumatore sostenendo che: “La finalità protettiva che investe la disciplina consumeristica e che permette al giudice di rilevare la nullità delle clausole concretanti un significativo squilibro normativo in danno del garante anche laddove il potenziale beneficiario della rilevazione ufficiosa nulla abbia dedotto in proposito, a meno che non abbia un qualche interesse contrario (Cass. civ., S.U. sent. 12.12.2014, n. 26242; Cass. civ. S.U. ord. 4.11.2019, n. 28314), esonera il consumatore dall’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del Dlgs. 206/2005. Compete semmai alla controparte l’onere di provare l’attinenza del rapporto controverso all’esercizio di un’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, creandosi altrimenti il rischio di porre una probatio diabolica a carico del presunto consumatore (Corte di Appello Firenze, sent. 30.05.2022, n. 1091)”.

Tale criterio probatorio, applicato dal Giudice fiorentino, “corrisponde all’idea sulla quale si basa il sistema di tutela istituito dalla direttiva stessa, ossia che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il livello di informazione”.

In secondo luogo la sentenza del Tribunale di Firenze, ritenuta applicabile al caso di specie la disciplina consumeristica, ha affermato il carattere abusivo della clausola di deroga all’art.1957 c.c. contenuta nella fideiussione cd. omnibus, quale titolo fondante l’ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti del fideiussore, dichiarandone la nullità.

L’art.3 par.1 Direttiva n.93/13/CEE come recepita nel nostro ordinamento nazionale dal Codice del Consumo (art.33 comma 1), afferma infatti che sono abusive le clausole contenute nei contratti conclusi dal professionista con il Consumatore che “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” e che non siano oggetto di trattativa individuale con il Consumatore stesso.

L’art. 3, par. 3 della Direttiva 93/13/CEE fa poi riferimento ad un allegato in cui è contenuta una elencazione esemplificativa di clausole abusive de plano, ossia la cd. “lista nera” in cui si annoverano, tra le altre, anche le clausole predisposte dal Professionista che limitino o impediscano al Consumatore di formulare eccezioni sul comportamento negligente del Professionista stesso, tali quindi da comportare l’estinzione della propria obbligazione, squilibrando così il sinallagma contrattuale in favore del Professionista.

La clausola abusiva non può avere alcun effetto nell’ordinamento in forza dei principi espressi dall’art. 6 della Direttiva n.93/13/CEE ed è pertanto nulla ex art.36 Codice del Consumo.

Alcune di queste clausole abusive possono ritenersi valide solo in presenza di trattativa individuale, seria, specifica con il Consumatore (con onere probatorio in capo al Professionista), non essendo sufficiente la doppia sottoscrizione, che attiene al diverso tema delle clausole cd. vessatorie ex art.1341 c.2 c.c.

Nel caso di fideiussione tuttavia, trattandosi di contratto per adesione predisposto dal professionista su un modello standardizzato, la trattativa individuale si considera come mai avvenuta ai sensi dell’art. 34, comma 5 del Codice del Consumo, nonché dell’art. 3 comma 2 comma Direttiva n.93/13/CEE (con prova contraria gravante sul Professionista).

Il Tribunale di Firenze, ha pertanto ritenuto, sulla base di “un’interpretazione letterale” la clausola di deroga all’art.1957 c.c. abusiva in forza di una presunzione iuris tantum anche ai sensi dell’art.33 II co. lett.t) Codice del Consumo in quanto “pone a carico del contraente nei cui confronti la stessa clausola produce effetti decadenze e/o limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni” ed ha affermato la necessità, al fine di superare tale presunzione, di una trattativa individuale con il Consumatore sul contenuto della clausola, non provata dal Professionista onerato (si veda da ultimo Cass. n.2558/2023), che nel caso di specie si è limitato a dare atto della doppia sottoscrizione (in ogni caso e comunque, a ben vedere, ex art. 36, lettera b) del Codice del Consumo la clausola di deroga all’art. 1957 c.c., in quanto implicante rinuncia del Consumatore a far valere l’inadempimento del professionista ai propri obblighi, segnatamente di buona fede e diligenza nel recupero del credito sottesi alla disposizione del codice civile, sarebbe comunque nulla quantunque oggetto di insussistente trattativa tra le parti).

L’abusività di questa clausola risiede quindi nel comportare uno squilibrio contrattuale, nel privare il Consumatore del proprio diritto di opporre eccezioni e nel creare in capo al Consumatore garante una situazione sfavorevole rispetto a quella che si concretizzerebbe in applicazione della regola semestrale codicistica ex art.1957 c.c., il tutto in assenza peraltro di alcun corrispettivo.

Essa dunque è abusiva in quanto è il prodotto di un comportamento illecito che non consente, oltre alla tutela del Consumatore quale parte debole del rapporto, nemmeno la tutela dell’interesse generale ad un mercato a condizioni equilibrate.

Peraltro, tali conclusioni sono state recentissimamente e definitivamente confermate dalla Suprema Corte con ordinanza n. 27558/2023.

In chiusura della pronuncia, il Tribunale di Firenze ha, in modo tuttavia non condivisibile, adottato la conclusione secondo cui, trattandosi di garanzia a prima richiesta, risulterebbe sufficiente anche la proposizione nei confronti del debitore di un’istanza stragiudiziale, per paralizzare la decadenza.

La clausola cd. “a prima richiesta” è infatti anch’essa abusiva ai sensi del Codice del Consumo, in quanto clausola che limita i diritti di cui il Consumatore godrebbe secondo la normativa nazionale, in assenza di sua previsione. Trattasi infatti di clausola che stabilisce il diritto di esigere immediatamente la prestazione, anche a prescindere dalla puntuale prova del credito e rinviando nel tempo sia la possibilità di dare piena prova del credito, sia la possibilità di sollevare eccezioni da parte del Consumatore, con evidente squilibrio contrattuale.

Inoltre l’art.1957 c.c. e la clausola di pagamento “a prima richiesta” sono nettamente distinti tra loro e non interagiscono, posto che la norma codicistica disciplina modalità e tempistiche dell’azione del creditore verso il debitore principale idonee a conservare la fideiussione, mentre la clausola “a prima richiesta” attiene all’azione diretta del creditore nei confronti del garante, quindi al rapporto di garanzia.

Pertanto, anche qualora si sia in presenza di una “clausola a prima richiesta”, ai fini interruttivi dei termini ex art. 1957 c.c. è necessario il ricorso ad un mezzo di tutela processuale, volto ad ottenere, in via di cognizione o esecutiva, l’accertamento ed il soddisfacimento delle pretese del creditore verso il debitore principale, e ciò indipendentemente dal loro esito e dalla loro concreta idoneità a sortire il risultato sperato (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 24 agosto 2023, n. 25197).

Avv. Sara Pezzotta (riproduzione riservata)