Commento a sentenza Tribunale di Milano sentenza 7899/2020

La breve motivazione del Tribunale di Milano, sez. III^, 2 dicembre 2020 n. 7899 – che respinge in maniera decisa un’opposizione all’esecuzione esattoriale avviata contro due fideiussori ed anche avallanti di una SRL – sollecita qualche riflessione, che proviene sia dalla ricostruzione del fatto, sia dal percorso decisionale.

  1. Nella ricostruzione del fatto, il Tribunale afferma (§ 2, pag. 3) che, nel dicembre 2014, la SRL venne finanziata dalla banca quando già si trovava in stato di liquidazione.

Esperienza insegna che è quanto meno inusuale, anche se non è né impossibile, né vietato, che una banca finanzi un’impresa già in stato di liquidazione e la circostanza menzionata fa sorgere il sospetto che non si tratti di un reale finanziamento (erogazione di nuova finanza alla SRL), quanto piuttosto di un’operazione che, in termini gergali, è definita consolidamento (Nota in calce 1). 

Simili operazioni, decontestualizzate dalla condizione complessiva in cui versa l’impresa, presentano vantaggi reciproci: da un lato, la banca non registra più un credito scaduto e non pagato, che la costringerebbe a dover peggiorare la classificazione della qualità del credito del proprio cliente-debitore, evitando di aggravare gli accantonamenti prudenziali sul credito insoluto, dato che si accinge a registrare un credito del tutto nuovo; dall’altro lato il cliente-debitore può rinegoziare gli interessi e comunque può ottenere una tempistica di pagamento più consona alle proprie capacità del momento. Il limite è quello di prestare attenzione alle possibili evoluzioni future delle condizioni dell’impresa debitrice, i.e. alla possibilità di un suo eventuale default, perché il rischio evidente è quello che tali operazioni possano entrare in collisione con il principio della par condicio creditorum.

Peraltro questo tipo di operazioni, se realizzate acquisendo garanzie non presenti in precedenza (nel caso di specie la speciale garanzia del Fondo di Garanzia per le PMI), risultano pregiudizievoli per l’ignaro garante del debitore, indotto a ritenere di garantire nuova finanza all’impresa, mentre invece sta in realtà garantendo un debito preesistente e che già mostra segnali di difficile rimborso. 

Nel passato se la circostanza fosse stata scoperta, era prassi del Fondo quella di dichiarare l’inefficacia della garanzia al momento dell’escussione (Nota 2) e rifiutare il pagamento alla banca; tale prassi è in seguito evoluta a formale impedimento preventivo, nel senso che non si può ottenere la garanzia se si è già proceduto con l’erogazione, anche se – costruita in questo modo – operativamente la regola non previene i consolidamenti.

Di tutto ciò, ovviamente, non si occupa la sentenza, ma se il sospetto avesse trovato riscontri, si sarebbe aperto un problema, visto che nel caso di specie il Fondo aveva onorato l’escussione e che la pronuncia riguardava un’azione di surrogazione nel credito; la circostanza suscita dunque il dubbio che nessuno si sia accorto di un (sospetto) consolidamento, non consentendo alla difesa del fideiussore di sollevare le eccezioni più opportune su quanto accaduto nel corso del rapporto tra l’istituto di credito ed il Fondo di Garanzia.

Poiché, però, un garante istituzionale che paga ha, come minimo, l’onere di accertare il diritto del beneficiario di ricevere il pagamento – peraltro, non dimentichiamo che si tratta di fondi pubblici – se il garante non lo facesse o se commettesse un errore, a rigor di logica imputet sibi: potrà (dovrà) senz’altro provare ad ottenere dal beneficiario la restituzione di quanto impropriamente liquidato, ma difficilmente dovrebbe poter esser legittimato, in forza di effetti surrogatori conseguenti all’escussione della garanzia, ad agire per il recupero del quantum excussionis in danno, in quel caso, di incolpevoli garanti “privati”. È chiaro, tuttavia, che se costoro non si pongono il problema e di conseguenza non lo pongono al Tribunale, quest’ultimo ben difficilmente potrà intervenire ad evitare la surrogazione.

Quanto precede dovrebbe dunque stimolare l’attenzione degli operatori sul fatto che, nel caso in cui il Fondo di Garanzia per le PMI eserciti il diritto di surrogazione nel credito contro dei condebitori solidali (ad es. i fideiussori), anche la verifica del rispetto delle disposizioni che regolano tanto la concessione, quanto l’escussione della garanzia statale, giochi un ruolo importante nell’ottica della legittimità dell’azione di recupero. Nonostante l’impianto regolatorio di questa particolare garanzia sia imponente e di complicata fruibilità, la gestione della vicenda, spesso del tutto sconosciuta ai condebitori, è documentale e può (deve) essere verificata.

  1. Il Tribunale afferma (§ 3.2.1, pag. 5) che il titolo per potersi validamente esercitare il diritto di surrogazione nel credito mediante procedura esattoriale, risiede nell’art. 2, comma 4, del d.m. 20 giugno 2005 (Nota 3).

Prima di affrontare questo passaggio, va svolta una premessa su date non desumibili dalla sentenza: la data di concessione dell’agevolazione sotto forma di garanzia e la data di liquidazione dell’escussione. Da un lato, si indica che il finanziamento alla SRL risalga al dicembre 2014 e ciò induce ad ipotizzare –dall’iter di funzionamento del Fondo– che l’agevolazione sia stata chiesta e deliberata più o meno nello stesso periodo o, al più tardi, nei primi mesi del 2015; di fatto, però, non c’è indicazione precisa. Da un altro lato, non si dà neppure conto della data in cui il Fondo abbia onorato l’escussione, anche se la notifica esattoriale indica che il pagamento precede il maggio 2019 e quindi si può presumere che la liquidazione dell’escussione sia di poco antecedente. In ragione di ciò che si dirà, chi scrive ritiene che la precisa individuazione di queste date abbia importanza discriminante.

Premesso questo, l’affermazione in sentenza apre ad un paio di riflessioni, suscitate dalle pessime modalità di produzione normativa a cui si assiste con frequenza ed intensità sempre maggiori; in un contesto del genere cresce di importanza un’efficace attività difensiva, ma è del pari auspicabile che chi svolge una funzione di sintesi non si ritenga esonerato da un’autonoma valutazione critica, a fronte di prospettazioni unilaterali.

La prima riflessione conduce ad evidenziare come il d.m. 20 giugno 2005 citato dal Tribunale sia un decreto non regolamentare, a contenuti normativi, che esula dalle fattispecie tipiche indicate dalla L. 400/1988 (Nota 4), circostanza che impedisce di configurarlo alla stregua di un atto legislativo, fosse pure di secondo livello, e che lo degrada ad atto amministrativo, espungendolo dalla gerarchia delle fonti (Nota 5).

Tale riflessione peraltro determina anche una conseguenza ‘istruttoria’ atteso che se il citato decreto è -come è- un atto amministrativo, la sua valutazione richiede che sia tempestivamente prodotto in giudizio. Il giudice, in assenza di tale produzione, non potrà valersene, essendo estraneo alla disponibilità d’ufficio ed alla regola iura novit curia (Nota 5).

Notato ciò – al di là della indicazione che gli opponenti avevano eccepito la nullità della propria promessa, perché la loro fideiussione omnibus, risalente al 2003, violava la normativa antitrust (anche se, per la verità, gli stessi compaiono anche quali avallanti di un vaglia cambiario, rilasciato dalla SRL a garanzia del medesimo finanziamento e non onorato) – la corte milanese non dà conto se, sullo specifico tema della valenza normativa del provvedimento su cui essa stessa si basa, vi sia stato o no un contraddittorio e con quali contenuti. Non di meno, tuttavia, già la riflessione svolta induce a ritenere quanto meno opinabile una decisione che legittimi un recupero del credito esercitato in forma esattoriale, in danno di un condebitore solidale, fideiussore o avallante che sia, non in base ad una disposizione di legge, ma grazie ad una disposizione contenuta in un atto amministrativo (non si sa se prodotto agli atti). 

La seconda riflessione è che, leggendo le premesse di quel d.m., è evidente come esso tragga la propria linfa dal comma 209 dell’art. 1 della Finanziaria 2005 (Nota 7), che chiedeva di rideterminate «con decreto di natura non regolamentare» le caratteristiche degli interventi del Fondo di Garanzia per le PMI «in linea con quanto previsto dall’Accordo di Basilea recante la disciplina sui requisiti minimi di capitale per le banche». Il limite dell’incarico è, dunque, preciso: attenersi all’Accordo di Basilea II in una materia che riguarda i requisiti patrimoniali minimi dettati per gli istituti di credito. Diventa dunque interessante verificare se il limite risulti o no rispettato e, a tale scopo, si può riferire quanto segue.

Il tema è quello della Mitigazione del rischio di credito (Credit Risk Mitigation, CRM) (Nota 8) e, se la garanzia è eleggibile, gli accantonamenti prudenziali a presidio del rischio di credito possono essere ridotti, rispetto allo standard previsto. In definitiva, con il comma della finanziaria 2005, il Legislatore stava incaricando l’Esecutivo di parificare gli elementi oggettivi (Nota 9) della garanzia del Fondo a quelli di una garanzia a prima richiesta, ancor prima che giungessero indicazioni dalla regolamentazione di settore, poi emanate da Banca d’Italia (Nota 10).

Né il Legislatore, però, né l’accordo di Basilea, si intrattengono sulla surrogazione nel credito, né tanto meno si intrattengono sugli effetti della surrogazione verso eventuali condebitori terzi e con quali modalità la si possa esercitare (la procedura esattoriale). Decide invece di occuparsene il Ministero, al co. 4 dell’art. 2 del decreto in questione, sconfinando platealmente, nell’opinione di chi scrive, dalle attribuzioni conferitegli.

Sulla base di queste due riflessioni, se ne dovrebbe dunque concludere che – secondo il Tribunale di Milano –  l’azione di recupero del credito in danno di condebitori ed esercitata con modalità esattoriali si fondi su una disposizione di un atto amministrativo, nonostante peraltro il contenuto di detta disposizione esorbiti dai limiti che avrebbe dovuto rispettare. La sentenza, infatti, non riferisce di aver valutato questi aspetti.

Svolte le riflessioni e la conclusione, non ci si sottrae ad un’indicazione costruttiva. Nei casi simili a quello deciso, è da ritenere che la possibilità di avviare un’azione di recupero del credito esercitata con modalità esattoriali, sia contro il debitore, sia (forse) contro eventuali condebitori terzi, non dovrebbe ricercarsi in una disposizione di un decreto ministeriale non regolamentare, bensì in una disposizione di legge. Sovvengono, a tal proposito, l’art. 9 del d.lgs. 123/1998 (Nota 11) o alternativamente l’art. 8-bis del d.l. 3/2015 (Nota 12), sui quali è insorto un contrasto giurisprudenziale di non poco conto, verosimilmente avviato proprio dallo stesso Tribunale nel 2014 (Nota 13) ed in seguito estesosi un po’ ovunque, che non dovrebbe essere difficile rintracciare. 

Come se ciò non bastasse, la presenza nell’ordinamento di due norme simili, anche se non perfettamente identiche, ha scatenato un acceso dibattito sul “se” ci si trovi al cospetto di norme costituenti interpretazione autentica una dell’altra, o “se” ci si trovi al cospetto di norme ripetitive, quanto meno in parte. Il dibattito non è ancora del tutto sopito, ma è chiara una cosa: se si trattasse di interpretazione autentica, allora nulla quaestio sin dal 1998 (Nota 14). Se invece così non fosse, dato che le due norme non coincidono perfettamente, si deve dedurre che esistono due regimi, uno che va dal 1998 al 2015 ed il secondo che va dal giorno di entrata in vigore dell’art. 8-bis d.l. 3/2015 (introdotto con la legge di conversione) ad oggi, con tutti i problemi di diritto intertemporale che due diversi regimi normativi suscitano.

Se questi possono essere i fondamenti dell’azione esattoriale, si dovrà dunque tener conto del confronto tra le due norme, della loro interpretazione (Nota 15), delle verifiche di diritto intertemporale che le stesse dovrebbero sollecitare e ciò spiega il motivo di aver esordito in questa parte di commento richiamando l’attenzione all’importanza di quelle due date: la data in cui è stata chiesta l’agevolazione (Nota 16) e la data in cui è stata pagata escussione.

Infine, non va poi taciuto che, nei confronti di chiunque si intenda esercitare il diritto di surrogazione nel credito, non si possa prescindere dall’esistenza di un titolo esecutivo precedente l’iscrizione a ruolo. Se è vero infatti che le due disposizioni di legge consentono il recupero di quanto corrisposto dal Fondo al beneficiario della garanzia mediante utilizzo della procedura esattoriale – l’art. 8-bis d.l. 3/2015 anche nei confronti di un terzo  fideiussore (terzi prestatori di garanzie, questa è la dizione esatta della norma), ai sensi del d.lgs. 46/1999, è altrettanto vero è che il rapporto tra il Fondo e il terzo prestatore di garanzia al beneficiario del finanziamento è un rapporto di diritto privato (il Fondo – che non è un soggetto pubblico, un ente territoriale, un ente previdenziale, ecc. per i quali l’esercizio dell’azione prevede tecnicalità diverse – si surroga nelle ragioni dell’istituto di credito) ed in  quanto tale, secondo la previsione di cui all’art. 21 d.lgs. 46/1999, l’iscrizione a ruolo deve essere effettuata sulla base di un titolo esecutivo. Neppure tale argomento risulta all’attenzione del Tribunale.

  1. Il Tribunale infine respinge (§ 3.2.2., pag. 6), in maniera invero alquanto sbrigativa, l’eccezione di nullità della fideiussione, in quanto riconducibile allo schema ABI, perché chi agisce non ha fornito la prova di come la violazione della normativa antitrust abbia inciso in maniera negativa “su aspetti rilevanti per i profili di tutela della concorrenza”.

Queste le testuali parole della Corte milanese: «A ben vedere, però, la Banca d’Italia, nel provvedimento n. 55/2005, al punto 56, premettendo che essa reputa «in contrasto con le regole della concorrenza gli schemi contrattuali atti a: − fissare condizioni aventi, direttamente o indirettamente, incidenza economica, in particolare quando potenzialmente funzionali a un assetto significativamente non equilibrato degli interessi delle parti contraenti; − precludere o limitare in modo significativo la possibilità per le aziende associate di differenziare, anche sull’insieme degli elementi contrattuali, il prodotto offerto», ha cura di precisare che la contrarietà alla normativa antitrust presuppone, in concreto, «la capacità dello schema di determinare – attraverso la standardizzazione contrattuale – una situazione di uniformità idonea a incidere su aspetti rilevanti per i profili di tutela della concorrenza», capacità la cui prova che nel caso di specie gli attori opponenti hanno omesso di allegare.»

Il GE è molto scarno nel proprio provvedimento e quindi non è chiaro se sul punto non abbia raccolto l’evoluzione della giurisprudenza del suo stesso Tribunale e della Corte di Appello, e prima ancora della Corte di Cassazione, laddove è dato oramai indiscutibile che il provvedimento 55/2005 che ha stabilito la contrarietà antitrust delle fideiussioni schema ABI abbia forza di “prova privilegiata”, quindi non vada provata la violazione “in concreto” delle regole concorrenziali, oppure se questo ragionamento attenga alla lontananza temporale (2014) tra la sottoscrizione della fideiussione nel caso esaminato e il momento dell’accertamento della violazione anticoncorrenziale (2005) .

Sul punto è bene ricordare che, considerata l’evoluzione giurisprudenziale, il difensore che faccia valere la nullità delle fideiussioni omnibus schema ABI, per l’ipotesi in cui la garanzia sia temporalmente lontana dal 2005 dovrebbe allegare e provare la persistenza del comportamento anticoncorrenziale (mediante la produzione di una idonea raccolta di modelli fideiussori conformi allo schema ABI e cronologicamente ininterrotta), nonché (per quella che è la posizione del Tribunale di Milano) allegare come la nullità delle tre clausole del predetto schema abbia inciso sulla persistenza della garanzia (cfr. Tribunale di Milano sentenza del 2.02.2021 consultabile con anche la giurisprudenza della Corte di Appello di Milano su sito www.fideiussioninulle.it sezione sentenze e ordinanze).

In sostanza un provvedimento che lascia aperti molti dubbi e che sollecita difese complete per la miglior protezione del garante.

Nota 1: Partendo dal presupposto che di norma ci si preoccupa di rispettare tutte le formalità bancarie interne (richiesta del cliente, delibera, contratto, piano di ammortamento, ecc.), si veda Cass., sez. I, 25 gennaio 2021, n. 1517, in cui la Corte illustra, passo dopo passo, come svolgere la qualificazione giuridica dell’effettiva operazione di finanziamento realizzata in banca: nel caso affrontato dai giudici di legittimità si trattava di esposizione bancaria derivante da uno scoperto di conto corrente, trasformata in un mutuo di (presunto) scopo, garantito da ipoteca, ma sono molteplici le tipologie che si possono ipotizzare. Il tratto che le accomuna è che, in realtà, all’esito dell’operazione, l’esposizione bancaria del debitore non cambia (o cambia solo in minima parte): un debito già scaduto o di prossima scadenza viene sostituito da un debito rateale a medio lungo termine. La prova di tale operazione si ottiene estraendo la Centrale dei Rischi dell’impresa o chiedendo ex art. 210 c.p.c. l’esibizione delle informazioni inviate dalla banca in Banca d’Italia – la cui lettura, tuttavia, contrassegnata da numerose tecnicalità, non è di agevole interpretazione – e mettendo a confronto le rappresentazioni dei mesi situati a cavallo della descritta operazione: mese precedente, mese della (virtuale) erogazione e mese successivo. 

Nota 2: La circostanza sembra infatti porsi in contrasto, addirittura, con la stessa norma istitutiva del Fondo, l’art. 2, comma 100, lett. a), della L. 662/1996, secondo cui l’agevolazione dello Stato serve «(…) allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese;» e, nel caso di specie, è assai discutibile interpretare un consolidamento alla stregua di una concessione di credito.

Nota 3: Decreto del Ministero delle attività produttive e del Ministero per l’innovazione e le tecnologie, 20 giugno 2005, recante la Rideterminazione delle caratteristiche degli interventi del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, in G.U. 2 luglio 2005, S.G. n. 152.

Nota 4: L. 23 agosto 1988, n. 400 recante la Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Peraltro, per quel che è noto, il decreto ministeriale non regolamentare in questione non è neppure passato al vaglio della Corte dei Conti, ammessa e non concessa l’applicabilità a tale provvedimento dell’art. 3, comma 1, lett. c) della L. 14 gennaio 1994, n. 20 in tema di Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti.

Nota 5: La dottrina di diritto pubblico definisce questo fenomeno fuga dal regolamento o fuga dalla L. 400/1988, non mancando occasione di criticarlo. Per un conforto giurisprudenziale specifico in tema di Fondo di Garanzia, v. Cons. Stato, sez. VI, 13 novembre 2017, n. 5218.

Nota 6: A prescindere dalla circostanza se i provvedimenti siano o meno pubblicati in Gazzetta Ufficiale, si richiama quella giurisprudenza in tema di usura ex L. 108/1996, secondo la quale i d.m. contenenti i c.d. periodici tassi soglia, in quanto atti amministrativi e non normativi, debbono essere prodotti in giudizio da chi intende valersene perché, in mancanza di ciò, il giudice non può conoscerne o utilizzarne il contenuto. Cassazione, sez. III, 30 gennaio 2019 n. 2543 ha, tra le altre cose, riferito che alla manca produzione dei dd.mm. non può supplirsi con la produzione di “equipollenti” e che la produzione (dei dd.mm.) costituisce «(…) elemento di prova essenziale della fattispecie, non altrimenti surrogabile.» Il tema sembra tuttavia ancora aperto; la successiva Cass., sez. III, 13 maggio 2020, n. 8883 ha infatti precisato che la disciplina regolamentare in materia di superamento del tasso-soglia ai fini della valutazione dell’usura ha carattere integrativo della normativa dettata in via generale dalla legge penale e civile, deve quindi essere conosciuta dal giudice ed applicata alla fattispecie, indipendentemente dall’attività istruttoria delle parti.  Tale conclusione, però, non pare invocabile al caso oggetto del presente lavoro atteso che il d.m. in esame non è un atto ‘integrativo’ di una normativa più generale e, dunque, non pare potersi sottrarre all’obbligo di sua tempestiva produzione ove invocato.

Nota 7: L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, co. 209, come modificato dall’art. 4, co. 1, lettera a-ter) del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80.

Nota 8: In quest’ambito, Basilea II introduce e definisce gli elementi soggettivi e oggettivi mediante i quali uno strumento di garanzia può conseguire effetti mitigativi del rischio di credito sul patrimonio delle banche: gli elementi soggettivi riguardano il garante, mentre la presenza di determinati elementi oggettivi definisce ciò che può considerarsi, in ambito bancario, una garanzia a prima richiesta. La valutazione è demandata al singolo istituto (controllabile dall’ente di vigilanza), il quale dovrà capire (e la vigilanza, nel caso, contestare) se la garanzia acquisita dalla banca possa aspirare ad essere considerata strumento correttamente eleggibile ai fini della CRM.

Nota 9: Non gli elementi soggettivi, sui quali si interverrà solo qualche anno dopo, con l’art. 11, comma 4, d.l. 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009 n. 2, introducendo la garanzia di ultima istanza dello Stato.

Nota 10: Queste arriveranno con la Circ. 27 dicembre 2006 n. 263 (v. Titolo II, Capitolo II, Parte Prima, Sezione III^, sottosezione 2, § 5), oggi abrogata e sostituita dalla Circ. 17 dicembre 2013 n. 283.

Nota 11: D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 123 recante Disposizioni per la razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle imprese, a norma dell’articolo 4, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Nota 12: D.L. 24 gennaio 2015, n. 3 recante Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2015 n. 33.

Nota 13: Il richiamo va a Trib. Milano, sez. II., 3 luglio 2014, in www.ilcaso.it e https://www.unijuris.it., anche se la fattispecie concreta del caso non è identica a quella odierna (sempre nell’ambito di una surrogazione nel credito esercitata dall’esattore in una procedura fallimentare, la specifica fattispecie concerneva il riconoscimento o meno del privilegio pubblico al credito stesso, anch’esso previsto da entrambe le norme citate). A mente di Cass., sez. I, 30 gennaio 2019, n. 2664 e Cass, sez. I, 31 maggio 2019, n. 14915, l’insorto contrasto sul privilegio sembra esser stato risolto: trattasi di credito privilegiato. 

Nota 14: Nulla quaestio … o quasi. Si deve infatti notare che il d.lgs. 123/1998 si atteggia quale normativa speciale rispetto al diritto comune e, per effetto dell’art. 14 disp. prel., ne sarebbe preclusa l’interpretazione estensiva. La conseguenza di ciò è che l’art. 9 d.lgs. 123/1998 sarebbe inapplicabile ai fideiussori, visto che non li cita espressamente; resterebbe comunque il dubbio circa la sua applicabilità ai soci illimitatamente responsabili delle aziende garantite.

Nota 15: Cass., sez. I, 31 giugno 2019, n. 14915, confermata da Cass., sez. VI., 25 novembre 2019 n. 30621.

Nota 16: Se ci si vuol basare sul principio del tempus regit actum, sorge il legittimo dubbio tra la data di richiesta e la data di concessione dell’agevolazione. A questo riguardo è opportuno sapere che il Fondo di Garanzia per le PMI opera in base ad una modulistica obbligatoria, che elenca le disposizioni applicabili al momento della richiesta, modulistica a cui associa uno stretto ordine cronologico di istruttoria delle domande ricevute, assegnando loro un numero che segue l’ordine fino alla concessione o al diniego. Combinando questi due elementi (contenuto della modulistica ed ordine cronologico), il momento in cui si inoltra la domanda determina o rectius, dovrebbe determinare quali sono le disposizioni applicabili. La cosa tuttavia si complica se si tiene conto che il Fondo applica un proprio modello del principio tempus regit actum, utilizzando le disposizioni regolatrici vigenti nel momento in cui è stato chiesto il suo intervento (concessione, variazioni, attivazione, transazioni, liquidazioni, revoche, invalidità), anche se nel frattempo tali disposizioni sono state modificate, rispetto a quelle identificate al momento della domanda.

 

Avv. Enrico Olivieri

Avv. Gladys Castellano

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