Commento alla sentenza del Tribunale di Treviso pubblicata in data 26 Agosto 2019

Il Tribunale di Treviso, con una sentenza del 13/8/2019 (scaricabile in calce), ha affrontato la nota questione delle fideiussioni schema ABI e, soprattutto, delle sue eventuali cause di invalidità.

Nonostante giunga a conclusioni da noi non condivise – la pronuncia ha certamente il merito di argomentare nel dettaglio la questione.

Le ragioni per le quali il Giudice rigetta la domanda di nullità, infatti, sono molte (forse troppe..) e comunque contestabili.

E allora andiamo ad analizzare, e nei limiti consentiti in questa sede, tale pronuncia.

Il Giudicante esordisce statuendo che l’eccezione di nullità della fideiussione per contrarietà alla normativa antitrust vada rigettata perché ritenuta tardiva(era stata sollevata dal Collega in comparsa conclusionale) e comunque non provata, poiché non risultata corredata della documentazione amministrativa ritenuta dal Tribunale necessaria ad essere decisa (Provv. Banca d’Italia 55/05 e parere AGCM 1251/05 – Nota per chi legge: li trovate tutti nella sezione di questo sito “documenti e sentenze”).

Sarebbe stata sufficiente tale argomentazione a consentire al Giudice di respingere l’eccezione, invece, il Giudicante si spende in una nutrita disamina della questione; ciò – sia consentito  – fa sorgere il dubbio che tali statuizioni ‘in rito’ non siano state ritenute così fondate, ovvero che sia stato avvertito ‘l’irrefrenabile desiderio di esporre la propria tesi’.

Questo testimonia certamente la centralità di questo argomento, ma va ad ogni modo sottolineato che, nello spendersi sull’eccezione, il Giudice Unico si sia per ciò stesso contraddetto: rigettare una domanda per l’assenza della documentazione amministrativa, del cui contenuto ed effetto poi si tratta copiosamente nelle successive dieci pagine, sta a significare che il contenuto di detta documentazione amministrativa, sì come della fideiussione-schema ABI oggetto di accertamento e sindacato amministrativo per la sua contrarietà alla normativa antitrust, sia ormai fatto notorio.

È infatti legittimo ritenere che la questione costituisca quantomeno un fatto notorio, se non si possa anzi legittimamente sostenere che in merito operi proprio il principio del iura novit curia.

Il diritto antitrust è connotato da elementi amministrativi (le decisioni dell’Autorità Garante), che per l’idoneità a “fare giudicato”, qualora non opposti, presenta specificità sue proprie.

È un unicum infatti nel nostro ordinamento la presenza di un giudicato amministrativo, cui i Giudici devono sottostare, circostanza questa che ha condotto gli studiosi di diritto costituzionale addirittura a interrogarsi sulla costituzionalità di tale norma, che tuttavia, essendo stata recepita anche nella direttiva 104/2014, deve ritenersi di rango superiore rispetto alla nostra legislazione interna, anche di rango costituzionale.

Entrando nel merito delle argomentazioni, seppur le spiegazioni preliminari della vicenda appaiano dal Tribunale ben impostate e descritte, lasciano invece interdetti le premesse giuridiche e le conclusioni tratte.

Andiamo quindi alla disamina dei passaggi motivazionali.

Il Giudice del Tribunale di Treviso nell’affrontare la questione nel merito ritiene, in aperto contrasto con la giurisprudenza della Cassazione dal 2005 in poi, di sottoporre a critica, sotto il profilo squisitamente giuridico, la tesi della nullità del contratto ‘a valle’ per contrarietà alla normativa di cui alla legge 287/1990.

In prima battuta, cerca di confutare la tesi della nullità per contrarietà a norma imperative (art.1418 cc), che ritiene sia alla base delle sentenze della Cassazione.

La sentenza afferma che la legge preveda la nullità delle intese (tra imprenditori), ma che nulla dica sulla sorte dei contratti compiuti in attuazione delle intese.

Per detta ragione non si rientrerebbe nella fattispecie della nullità, non essendo applicabile la normativa che prevede la nullità per contrarietà a norma imperativa, visto che la legge non prevederebbe gli effetti della nullità delle intese (nulle).

Su detto aspetto, in termini esattamene opposti, si è espressa la Cassazione (anche con riferimento ad intese anticoncorrenziali che nulla hanno a che vedere con le fideiussioni) ed è difficile aggiungere altro.

Solo quindi due parole, più che altro descrittive: è il contratto finale che realizza l’intesa, la quale altrimenti rimarrebbe a livello di ‘tentativo’, di fatto non punito e né punibile; ciò che non è contemplato di per sé dalla normativa antitrust e dalla disposizione sanzionatoria di cui all’art. 2, ultimo comma della legge 287/1990.

In questo senso è stato acutamente già osservato che il contratto a valle altro non è che il momento di una complessiva operazione economica che inizia con la intesa a monte e con esso si conclude.

Il contratto è in questo senso il veicolo delle relazioni intercorrenti tra imprese di grandi dimensioni e i consumatori (utenti); lo stesso è il mezzo di attuazione dell’ordinamento giuridico del mercato, ben distante da quello di strumenti di rapporti privati. Sotto questo profilo quindi il torto anticoncorrenziale, inteso nel senso sostanziale imposto dalla normativa comunitaria e nazionale e alla tutela che la sua repressione intende garantire, non resta ancorato alla intesa a monte tra imprese; ma lo stesso è dato da due momenti di una medesima unitaria operazione. Ogni indagine e soluzione interpretativa non può che muovere necessariamente dalla premessa che la normativa imperativa antimonopolistica generata dall’ordinamento comunitario non è solo una disciplina avente contenuto pubblicistico, ma è idonea a creare diritti soggettivi in capo ai privati con una continua intersezione tra interessi propriamente pubblici e interessi privati, come peraltro riconosciuto dalla Corte di Giustizia Europea sin dalle sentenze del 1974.

Se si interpretasse con il rigore ‘formalistico’ proposto dal Giudice di Treviso la normativa antitrust, le tutele in essa previste rimarrebbero lettera morta: le intese sarebbero nulle, i contratti a valle che attuano le intese (nulle), e dunque ne realizzano in sostanza gli effetti che sono vietati sul mercato, resterebbero validi. Il principio di effettività dell’ordinamento comunitario finirebbe calpestato.

In verità, la legge antitrust è una legge di risultato, ossia è finalizzata a creare il mercato concorrenziale e a tutelare l’utente finale, proprio quello che in tema di fideiussioni è stato palesemente violato.

L’approccio seguito dal Giudice sul punto appare tradire sia l’interpretazione che l’applicazione del diritto antitrust, come inteso in ambito comunitario e dunque in ambito nazionale (v. art. 2, ultimo comma legge 287/1990; “le intese vietate sono nulle ad ogni effetto”); e ciò tra l’altro anche in violazione di quanto espressamente imposto al giudice nell’interpretazione (ed applicazione) della legge antitrust dall’art. 1, comma quarto della legge 287/1990 a mente del quale infatti “l’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità Europee in materia di disciplina della concorrenza”.

Prosegue però il Giudice, andando ad analizzare le motivazioni, che a proprio giudizio rendono altresì impraticabile la tesi -suppostamente posta a fondamento dalla Suprema Corte – della ‘nullità derivata’.

Nello svolgere questo ragionamento, il Tribunale richiama i principi del collegamento negoziale, onde arrivare a stabilire che il principio del simul stabunt simul cadent sia inapplicabile alla fattispecie.

Ebbene, riteniamo che, quando affronta gli effetti della normativa antitrust, la Suprema Corte non faccia riferimento tecnicamente al collegamento negoziale, anche solo per l’indiscutibile fatto che non siamo in presenza di due contratti collegati, ma, come viene chiarito, di un unico comportamento ovvero di un’unica operazione complessiva (l’intesa attuata attraverso il contratto e che in questo modo realizza la distorsione sul mercato vietata ad ogni effettodalla legge imperativa).

Se collegamento c’è, è da ravvisarsi tra la fideiussione e il contratto di finanziamento che la stessa va a garantire, ma questo, al momento, non è l’oggetto di questo commento.

Le argomentazioni sono quindi impropriamente esposte, e comunque viziate da errori logici e di applicazione delle norme, oltre che da passaggi del tutto contraddittori.

Infatti, tra le tante:

  1. alla pagina 24 della sentenza il Tribunale rileva che ‘nei contratti di fideiussione, non vi è alcun oggettivo richiamo alla deliberazione dell’ABI’ (circa l’adozione del noto ‘schema ABI’ di fideiussione).

L’osservazione, invero, ci pare contraddittoria e paradossale, oltre che irrilevante.

E’ evidente che nel contratto non venga posto alcun richiamo alla deliberazione ABI. Sarebbe come dire: “abbiamo stipulato un’intesa anticoncorrenziale e curiamo di confessarlo dandone atto nei contratti che stipuliamo a valle” (la ‘prova provata’ ad ogni modo della intesa anticoncorrenziale sta, e lo ricordiamo solo a noi stessi, nella “deliberazione” assunta dalle imprese in seno alla relativa associazione).

E soprattutto non sussiste alcun motivo perché  il mancato richiamo della deliberazione ABI nel testo della singola fideiussione abbia un qualche rilievo. Il testo della fideiussione sottoposta all’esame infatti è IDENTICO (così pare di comprendere nelle motivazioni che altrimenti si sarebbero spese sul punto) al testo dello schema ABI, il che rappresenta proprio quell ‘oggettivo richiamo‘ che, purtroppo, il Tribunale di Treviso non ha visto o voluto vedere;

  1. sempre alla pagina 24, il Tribunale sostiene che ‘l’esperienza mostra. che le banche hanno concluso molteplici contratti di fideiussione aventi contenuto difforme rispetto allo schema stesso‘.

Quindi il Giudice, per dare prova di un argomento ritenuto (erroneamente) rilevante, utilizza lo strumento -del tutto personale ed indefinito- della propria esperienza, per giungere al risultato di dare per ‘scontata’ l’esistenza di altri tipi di fideiussione. Da un lato quindi lo stesso Giudice riferisce di NON poter giuridicamente conoscere il provvedimento di Banca d’Italia (quale autorità Antitrust dell’epoca), dato che ne censura la mancanza probatoria; dall’altro, egli è convinto del fatto che esistano ‘molteplici’ contratti di fideiussione difformi dallo schema ABI, convinzione  che (non emergendo dai fatti di causa) egli sembra attingere dalla propria personalissima esperienza. Questa modalità di procedere nella decisione non è consentita dal codice di procedura civile. Sarebbe stato opportuno, quantomeno quindi, precisare sulla base di quali prove sia stato possibile giungere a tale conclusione (peraltro in contraddizione con l’indagine ed istruttoria di AGCM e BDI), atteso che a chi scrive (oltre che appunto a BDI e AGCM) risulta esattamente il contrario. Ciò, infatti, è anche dimostrato da un’analitica ricerca, effettuata con l’apporto di alcuni Colleghi, che ha condotto a poter affermare che a livello nazionale dal 2005 al 2018 su circa 80 diversi istituti bancari dal nord al sud utilizzavano pressoché tutti concordemente e contemporaneamente lo stesso schema ABI;

  1. ancora il Tribunale, forse incerto sulle precedenti proprie osservazioni, arriva a sostenere che l’uso dello schema ABI sarebbe ‘solo’ una ‘PRASSI SENZ’ALTRO CONSOLIDATA‘, ed anche preesistente alla redazione-formalizzazione dello schema del 2002 in seno all’ABI, ma non un vero accordo giuridicamente vincolante.

Vale bene osservare che la normativa antitrust sanziona proprio l’uso uniforme frutto dell’intesa anticoncorrenziale. Nessuno ha mai ipotizzato che vi fosse un obbligo giuridico (ma v. sul punto infra) dell’istituto nell’utilizzare tali contratti, atteso che non è necessaria in ogni caso tale circostanza, essendo pienamente sufficiente aver dimostrato, ed appurato, che vi è stato -e vi è tutt’ora- un uso uniforme di un contratto che costituisce il prodotto di un’intesa anticoncorrenziale. Peraltro, non si comprende quale sia la differenza concettuale tra la PRASSI CONSOLIDATA (lecita secondo il Tribunale) e l’applicazione uniforme (illecita ex lege) Ad ogni modo, e la disamina delle pronunce che sia in ambito nazionale che comunitario, hanno affrontato la questione della efficacia delle c.d. NUB elaborate dalle banche in seno all’ABI finisce in realtà per attestare anche l’esatto contrario di quanto affermato dal Giudice, dato infatti che tale efficacia vincolante delle NUB nei confronti delle banche è stata sostenuta sin dal 1994 dall’Autorità Garante, e già prima dalla Commissione in una decisione risalente al 1986.

  1. ancora a pagina 25 il Tribunale rileva che, anche a voler ammettere che “la banca persegua con la contrattazione individuale il fine ultimo anticoncorrenziale” di alterare a suo favore il mercato e di ottenere un extraprofitto, l’altro contraente (il fideiussore) stipula il contratto per soddisfare un proprio interesse che si ricollega ed esaurisce nel fine tipico dell’operazione posta in essere”.

Ebbene, per giungere a questo risultato, il Tribunale, oltre a confondere, ci sembra, il concetto di causa e di motivo del contratto, deve dare per vero un presupposto invece errato; vale a dire  che esista una contrattazione individuale nella stipula delle fideiussioni, mentre invece le fideiussioni conformi allo schema ABI si concretano in moduli uniformi predisposti da una parte (la banca) nella forma dei contratti per adesione imposti all’utente ed ove per definizione è assente qualsiasi forma di contrattazione individuale e dunque di libera autonomia negoziale.

In secondo luogo, sempre per giungere a quella conclusione, il Giudice deve disconoscere che la finalità dell’intesa anticoncorrenziale (vietata) è tipicamente proprio quella di imporre (nei contratti a valle) condizioni contrattuali idonee a produrre effetti anticoncorrenziali e che è del tutto irrilevante quale sia “il fine tipico” (la causa? Il motivo?) dell’operazione posta in essere o che una delle parti sia parte anche dell’intesa anticoncorrenziale di cui lo schema contrattuale impostole è frutto.

  1. ed infine, sempre a pagina 25 il Tribunale, al fine di escludere la nullità virtuale, la nullità derivata, la nullità per causa illecita, insomma qualsiasi forma di nullità del contratto a valle che attua la intesa vietata perché realizzante la distorsione sul mercato:
  • ricorre al richiamo di principi espressi dalla Cassazione a Sezioni Unite del 2007 in altro ambito (le norme del TUF verso l’intermediario-mandatario) in merito alla distinzione tra norme sulla validità del contratto e norme di comportamento e che non ci sembrano confrontabili con riferimento alla questione ivi posta;
  • ricorre al richiamo al GATT, che, lungi dal sanzionare intese tra imprenditori, costituisce un accordo tra Stati a livello mondiale, volto a garantire la parità di trattamento sia tra gli Stati contraenti sia tra le merci importate e quelle prodotte internamente, il tutto in relazione esclusivamente alla politica daziaria; in questo ambito non vi sono ‘contratti a valle’, perché per l’ipotesi di violazione al GATT viene deliberato il dazio anti dumping, il quale, venendo applicato direttamente al momento dell’importazione consente la neutralizzazione della politica economica scorretta sulla particolare merce. Parliamo di un accordo tra Stati, niente di più lontano dalla tutela antitrust;
  • richiama pretesi effetti pregiudizievoli che deriverebbero al consumatore dalla caducazione del contratto individuale che lo riguarda, con esempi che tradiscono la questione (con riferimento, ad esempio, al contratto assicurativo l’intesa a monte era sul prezzo e non sulle condizioni significative ed essenziali del contratto, come è nella fideiussione schema ABI), prospettando che secondo la ricostruzione assunta dalla Cassazione si dovrebbe affermare una natura protettiva della nullità antitrust ed una legittimazione relativa e non assoluta, in tesi non compatibili con l’impianto della nullità virtuale ex art. 1418 c.c.; e ciò tuttavia anche dimenticandosi che sotteso alla richiesta di nullità del contratto a valle che attua l’intesa nulla ex art. 2 della legge 287/1990 deve pur sempre sussistere, anche in base a quanto presupposto dall’art. 33 della legge e la Cassazione in questo senso lo ha ribadito, l’interesse giuridicamente rilevante;
  • giunge infine ad affermare che l’unico rimedio in questi casi sarebbe quello risarcitorio, quando invece è la stessa lettera dell’art. 33 della legge 287/1990 a dire esattamente ed espressamente il contrario (le cause di nullità E di risarcimento del danno concesse all’utente) e la Cassazione in questo senso lo ha sempre ribadito.

In conclusione, nonostante lo sforzo di discostarsi da un percorso già tracciato e da arresti conformi della Suprema Corte di Cassazione, la decisione in commento non convince, ponendosi in diretta assimetria con principi di diritto sostanziale, sia in ambito nazionale che comunitario, e di diritto processuale ampiamente consolidati e, a monte, con accertamenti compiuti dalle Autorità Amministrative preposte, divenuti definitivi e che risultano vincolanti per il giudice.

Infine, pur nel rispetto della autonomia del singolo magistrato, spiace notare nuovamente come, specie in primo grado, venga disatteso lo sforzo nomofilattico della Suprema Corte, in una materia che involve delicati equilibri ed interessi contrapposti.

Solo pochi mesi fa, la Corte di Cassazione (con sentenza del 22/5/19 n. 13846) ha chiarito che ‘Quel che assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8, è, all’evidenza, il fatto che esse costituiscano lo sbocco dell’intesa vietata, e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita, come rilevato dalla cit. Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207 (cfr. in tema anche Cass. 12 dicembre 2017, n. 29810, secondo cui ai fini dell’illecito concorrenziale di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 2, rilevano tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite)’.

Gladys Castellano – Nicola Stiaffini – Armida Dal Bo – Maria Laura Ficola

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Gladys Castellano – Nicola Stiaffini – Armida Dal Bo – Maria Laura Ficola

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Trib.-Treviso-Sez.-II-26-agosto-2019-n.-1852