La domanda del titolo di questo intervento è chiaramente provocatoria ma, letta l’importantissima sentenza SC 29.810/17, è altresì vero che -se non tutte- moltissime fideiussioni omnibus ancora in circolazione sono certamente a rischio di ‘nullità’. Tale conclusione, confermata dalla citata sentenza della SC, trae origine da un provvedimento (n. 55/05) di Banca d’Italia che, all’esito dell’istruttoria svolta ai sensi degli artt. 2 e 14 L. 287/1990 nei riguardi dell’ABI su parere conforme dell’AGCM, ha dichiarato che “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”, ossia in contrasto con la legge antitrust.
La statuizione predetta non è di poco conto atteso che lo ‘schema ABI’ era -ed è- diffusissimo nella prassi bancaria ed adottato pedissequamente da moltissimi istituti di credito.
Sulla scorta di ciò, quindi, la SC ha tradotto in nullità la fideiussione omnibus contenente tali disposizioni. Peraltro, a conferire ulteriore importanza alla decisione de qua, si rileva che detta garanzia oggetto di giudizio era di molto precedente al 2005. Gli Ermellini, infatti, hanno anche chiarito che “In tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali, vietate dall’art. 2 della L. 10 ottobre 1990, n. 287, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte”, comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato, a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”. Quindi, anche per le ‘vecchie’ fideiussioni omnibus (ossia ante 2005) il principio non cambia, se contengono dette condizioni illecite (generalmente indicate agli artt 2,6,8) sono passibili di nullità.
In particolare, tale (sanzionato) art. 2 è la cd ‘clausola di reviviscenza’, ove si legge che il fideiussiore è tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”. Tale clausola è particolarmente gravosa in quanto impegna il fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento, e si presta a produrre situazioni di contrasto con l’art. 1953 c.c. allorchè egli abbia confidato nell’estinzione della garanzia a seguito del pagamento del debitore e abbia conseguentemente trascurato di tutelare le proprie ragioni di regresso. Inoltre, osserva la Banca d’Italia, la clausola in questione può comportare la deroga all’art. 1945 c.c. in tutti i casi in cui il debitore agisca nei confronti della banca per la restituzione di quanto ritenga di aver pagato in eccedenza rispetto al dovuto. In tal caso il fideiussore sarebbe comunque impegnato a rimborsare le somme che la stessa fosse tenuta a restituire all’originario debitore, senza poter far valere le eccezioni di pertinenza del debitore (v. paragr. n. 85 provv. 55/2005).
Il successivo (sanzionato) art. 6, (a mente del quale ‘i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato’), secondo Banca d’Italia attribuisce un termine troppo lungo (pari alla prescrizione dei diritti verso il garantito) per far valere la garanzia fideiussoria, e ciò potrebbe disincentivare la diligenza della banca nel proporre le proprie istanze, sbilanciando così la posizione della stessa a svantaggio del garante (v. paragr. 83 provv. 55/2005).
Infine, l’art. 8 dello schema ABI estende la garanzia anche agli obblighi di restituzione del debitore derivanti dall’eventuale invalidità del rapporto principale, disponendo che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”. Tali obblighi sono ulteriori e diversi rispetto a quelli di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni assunte dal debitore in forza dei rapporti creditizi a cui accede la fideiussione. Secondo Banca d’Italia, quindi, tale previsione non è confacente all’essenza del rapporto di garanzia e potrebbe indurre la banca, in sede di concessione del credito, a dedicare una insufficiente attenzione alla validità o all’efficacia del rapporto instaurato con il debitore principale, potendo comunque contare sulla permanenza dell’obbligazione di garanzia in capo al fideiussore (v. paragr. 86 provv. 55/2005).
L’importante decisione della SC, quindi, apre un nuovo ed interessante profilo di nullità che, in quanto tale, potrà svolgere i suoi effetti non solo nel nuovo contenzioso bancario ma, si ritiene, anche in quello già pendente. Trattandosi di eccezione di nullità, infatti, la stessa può essere rilevata anche d’ufficio (Cass. S.U. n.14.828 del 4.9.2012 :“ In omaggio al principio di collaborazione tra il giudice e le parti, il magistrato deve sempre indicare alle parti le questioni rilevabili di ufficio, tra le quali vi rientra la nullità del contratto. La mancata segnalazione da parte del giudice comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa delle parti. Qualora poi la violazione si sia verificata nel giudizio di primo grado, la sua domanda in appello accompagnata dalla indicazione delle attività processuali che la parte avrebbe potuto porre in essere, cagiona, se fondata, non già la regressione al primo giudice, ma, in forza del disposto dell’art. 354, comma 4, c.p.c., la rimessione in termini per lo svolgimento nel processo di appello delle attività il cui esercizio non è stato possibile”).
Orbene, nella pratica dei fatti, ho già avuto modo di riscontrare che detto (sanzionato) schema ABI risulta molto diffuso anche -senza soluzione di continuità- per gli anni successivi al 2005 e sino ad oggi. Gli Istituto di credito, per la maggior parte, hanno infatti evidentemente ignorato l’indicazione di Banca d’Italia perseverando nell’applicazione di tale schema.
Non sono mancate dai primi commentatori, ovviamente, critiche alle conclusioni di cui sopra soprattutto in relazione alla nullità dell’intera pattuizione. Tuttavia, in attesa dei prevedibili prossimi chiarimenti e pronunciamenti sul tema, è altresì vero che anche ipotizzando una salvaguardia per il resto del contratto, resta il fatto che almeno quelle tre clausole risulterebbero comunque nulle. E’ quindi certamente opportuno valutare, caso per caso, se anche la mera nullità di quella singola clausola possa invalidare o meno la pretesa dell’istituto.
Livorno, 28 febbraio 2018
Nicola Stiaffini
(riproduzione riservata)
Comments are closed.