Commento alla Sentenza del Tribunale di Treviso del 7 Giugno 2018
Con il breve commento della sentenza in oggetto è mia intenzione mettere in luce alcune tutele a cui il Fideiussore può appellarsi nell’ipotesi in cui sia anche Consumatore, ossia persona che agisca per finalità estranee alla propria sfera professionale.
Siamo qui in un’ipotesi diversa da quella che ho commentato in precedenza (articolo sulle fideiussioni omnibus di Gennaio 2018), perché in questo caso non è necessario che la Fideiussione sia conforme allo schema ABI, ossia sia sostanzialmente coincidente con lo schema che le Banche hanno utilizzato massicciamente nella maggior parte delle Fideiussioni e che la Cassazione ha sanzionato con la sentenza del Dicembre 2017.
La sentenza del Tribunale di Treviso, nella persona del Dott. Andrea Valerio Cambi, prende in considerazione il Garante – padre che garantisca un mutuo contratto dal debitore principale – figlia.
Il Tribunale decide sull’opposizione del padre alla richiesta di pagamento avanzata dalla Banca nei propri confronti.
In questa ipotesi nessun dubbio sussiste in merito alla qualifica di Consumatore del Garante, essendo evidente che il contratto di Fideiussione sia stato sottoscritto per ragioni estranee a qualsiasi finalità imprenditoriale esercitata dal padre.
La qualifica di Consumatore del Garante apre la strada a tutte le tutele previste dal Codice del Consumo (d.Lgs. 206/2005), prima fra tutte l’invalidità di tutte quelle clausole, contenute nel contratto, che abbiano come effetto una limitazione alla facoltà di opporre eccezioni.
Per meglio precisare le clausole in questione sono invalide, salva la dimostrazione da parte della Banca che siano state discusse specificamente e personalmente con il Garante (circostanza che non si verifica praticamente MAI).
Tra le eccezioni opponibili da parte del Garante Consumatore vi è quella di far valere la decadenza della Garanzia (quindi di ottenere la propria liberazione) nell’ipotesi in cui la Banca non si attivi entro 6 mesi nei confronti del debitore principale, per cercare di recuperare il proprio credito.
Nei contratti di Garanzia questa clausola (che è appunto invalida per l’ipotesi di Garante Consumatore) di solito è scritta come “deroga all’art.1957 c.c.”
Ebbene questa clausola non è valida se è sottoscritta da un Consumatore, con la conseguenza per cui se la Banca non si sia attivata nei confronti del debitore (nel caso riportato dalla sentenza, nei confronti della figlia) entro 6 mesi, dal momento in cui è emersa l’incapacità del debitore (la figlia) a pagare il proprio debito, allora perde la Garanzia del Fideiussore (padre).
Particolarmente importante è il ragionamento del Giudice nel passo in cui afferma che il termine di sei mesi previsto dal Codice Civile (articolo 1957 c.c) si riferisce al momento in cui la Banca acquisisce la consapevolezza che il debitore non è in grado di pagare. E’ da questo momento che decorrono i sei mesi in cui la Banca deve attivarsi.
Il motivo che è sotteso alla norma è evidente: il comportamento “attendista” della Banca non deve pregiudicare il patrimonio del Garante, poiché, con la colpevole tolleranza dell’inadempimento, la Banca fa ricadere fatalmente sul soggetto capiente (il Garante) le conseguenze del proprio comportamento.
In sintesi quindi è molto importante che il Fideiussore valuti con attenzione la situazione che ha condotto alla richiesta di pagamento nei propri confronti e, finché è in corso il giudizio, è sempre in tempo a far valere l’invalidità delle clausole contrarie alla normativa a tutela del Consumatore, perché si tratta di nullità di protezione.
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