La Cassazione è tornata a parlare di fideiussioni in rapporto alla normativa antitrust.

Lo ha fatto con la sentenza depositata il 22 Maggio 2019 n.13846/2019.

La pronuncia presenta aspetti di indubbia rilevanza sotto il profilo della portata del provvedimento n.55 del 2005 di BDI e pone invece sfide agli operatori del diritto in termini di prova.

La portata del provvedimento n.55 della BDI

È noto che la BDI nel 2005, quale autorità garante della concorrenza competente ratione temporis prima della modifica apportata dall’art.19, comma 11, l. n.262/2005, abbia stabilito l’esistenza di un’intesa restrittiva perpetrata dalle Banche aderenti all’ABI a danno dei fideiussori, in ragione della diffusione capillare di un modello di fideiussione, cosiddetto “modello ABI” tra i propri clienti.

Il “modello ABI” è stato ritenuto, per i suoi contenuti, particolarmente gravoso per i garanti e quindi è stato stabilito che l’applicazione uniforme del suddetto schema di fideiussione fosse in contrasto con la normativa antitrust disciplinata dalla L. 287/1990.

La BDI ha svolto un’indagine in ordine alla diffusione del modello ABI all’interno dell’istruttoria svolta in seno al procedimento e accertato che tutte le banche consultate lo stavano proponendo/imponendo alla propria clientela.

La conclusione cui è arrivata BDI è stata che alcuni articoli del modulo proposto (articoli 2, 6 e 8), in quanto applicati in modo uniforme, fossero in contrasto con la normativa antitrust.

Sulla portata pratica del provvedimento emanato da BDI si sono sostenute diverse tesi, su cui non ci dilungheremo avendo trovato soluzione con la pronuncia in esame.

La Cassazione con la sentenza del 22 Maggio 2019 oggi precisa che:

  1. nei giudizi instaurati a seguito di una pronuncia dell’autorità antitrust la decisione assunta dall’Autorità (nonché la decisione del giudice amministrativo competente a confermarla o riformarla) costituisce prova privilegiata della sussistenza del comportamento anticoncorrenziale accertato e/o dell’abuso della posizione dominante rilevata, nonché dell’esistenza di un danno, la cui quantificazione è lasciata al richiedente.

I FATTI ACCERTATI SONO INCONTROVERTIBILI

Quindi: non può essere messo in dubbio che la diffusione del modello ABI alla data del Maggio 2005 costituisse violazione della normativa antitrust e che quindi l’intesa tra Banche ricadesse nella previsione della nullità ai sensi dell’art. 2 L. 287/1990.

Nessun pregio quindi dovrà riservarsi alla tesi, sostenuta da certa dottrina, che partendo dall’assunto che la fideiussione sia un contratto accessorio, voglia escludere detto contratto dalla protezione della normativa antitrust. 

Lo schema Abi ha violato la normativa antitrust, è fatto incontrovertibile.

  1. L’accertamento di condotta anticoncorrenziale può essere utilizzato dall’utente finale per ricevere tutela, poiché il contratto concluso tra imprenditore e utente finale costituisce il compimento dell’intesa anticompetitiva tra imprenditori, la sua finale realizzazione.

IL PROVVEDIMENTO N.55 DEL 2005 PUÒ ESSERE USATO DAL GARANTE CHE INVOCHI TUTELA.

Quindi: non possono più avere ingresso disquisizioni concernenti l’esistenza o meno del collegamento negoziale tra nullità dell’intesa vietata a monte e contratto a valle concluso con il consumatore finale e che sia attuativo dell’intesa vietata. 

Il contratto a valle è parte dell’intesa e sua realizzazione. 

Sono nulli entrambi.

  1. Il comportamento successivo alla declaratoria di violazione della normativa antitrust del 2005 da parte dell’ABI è ininfluente in merito a quanto accertato.

È LO SCHEMA ABI AD ESSERE STATO SANZIONATO

Quindi: va verificata la coincidenza delle condizioni contrattuali concretamente convenute con lo schema sanzionato dalla BDI. 

Il profilo della prova

La Cassazione su questo punto afferma di ribadire quanto espresso nell’ordinanza n.30818 del 2018, sostenendo che in relazione alla regola di cui all’art. 2967 cc è onere di chi deduca la violazione provarne i fatti costitutivi e quindi “provare il carattere uniforme della clausola che si assuma essere oggetto dell’intesa”.

Dieci righe che mettono in allarme.

Il carattere uniforme dell’applicazione delle clausole sanzionate è stato rilevato come sussistente dalla BDI nel 2005, quindi la prova su questo punto, per i periodo oggetto del citato provvedimento può ritenersi raggiunta. La BDI infatti a seguito della propria indagine concludeva proprio ritenendo che la standardizzazione effettuata sulla base di uno schema in cui fossero fissate condizioni non equilibrate (da cui per i singoli è preclusa o limitata la facoltà di discostarsi) incidesse (negativamente) sulla concorrenza.

Il punto pare pacifico, ma non c’è dubbio che vada comunque argomentato analiticamente perché nell’ordinanza n.30818 del 2018 si pone in dubbio la sussistenza di un accertamento effettuato dalla BDI, quindi sarà importante richiamare analiticamente la narrativa del provvedimento e sviscerare l’istruttoria compiuta concretamente dalla suddetta autorità.

Cosa dire invece per l’ipotesi che si contesti una fideiussione successiva al 2005?

Quale tipo di prova richiede la Cassazione?

Leggendo semplicemente quanto scritto dai giudici della Suprema Corte sembrerebbe che sia richiesta la prova della circostanza per cui le Banche abbiano continuato ad utilizzare uniformemente lo schema ABI dopo il 2005.

Questa affermazione pone problemi di difesa non trascurabili, almeno nei processi di opposizione a decreto ingiuntivo, legati agli obblighi ordinari di prova (quelli stabiliti dal codice di procedura civile). Sarà certamente necessario, sulla base di quanto stabilito nel 2018 e riconfermato con la pronuncia in commento, dare prova, quantomeno presuntiva, dell’applicazione uniforme.

A questo proposito la Cassazione nega la possibilità che la prova richiesta a carico del Garante sia raggiungibile utilizzando il criterio della “vicinanza della prova”, con conseguente ribaltamento a carico dell’istituto di credito della prova contraria.

Va data prova.

Nel processo davanti al Giudice antitrust invece, che è regolato da principi differenti (decreto legislativo n.3/2017), la posizione processuale dell’utente bancario è migliore e più forte, potendosi quest’ultimo giovare degli strumenti istruttori previsti dal citato decreto, che consentono poteri di indagine in capo al Giudice investito della controversia.

Una riflessione ulteriore e conclusiva ci pare che si imponga in merito al principio di effettività della tutela antitrust. 

Ricordiamo sempre che la tutela antitrust ha fonte unionale, quindi il principio cardine ispiratore della materia è quello della necessaria effettività (efficacia) dello strumento giuridico offerto dagli stati membri (leggasi: Italia) ai soggetti destinatari della direttiva antitrust (leggasi: fideiussori), effettività da valutarsi in relazione agli scopi voluti dalle norme unionali (leggasi: creare un mercato libero e concorrenziale).

È noto che il giudizio antitrust (3 tribunali competenti per tutta Italia) sia molto gravoso per l’utente finale, il quale quindi, per potersi difendere con l’agevolazione istruttoria prevista dal decreto n.3 del 2017, sarebbe costretto a instaurare la causa di opposizione a decreto ingiuntivo e contemporaneamente a iniziare il giudizio antitrust.

È da considerarsi tutela effettiva quella che pone il soggetto danneggiato dalla condotta anticoncorrrenziale nella condizione di difendersi in due distinti giudizi, con spese a proprio carico, per vedere riconosciute le proprie ragioni?

Qualche dubbio in merito residua, ma allo stato questa è la giurisprudenza ubi major minor cessat.

Avvocato Gladys Castellano

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Cassazione n. 13846/2019

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