Con l’ordinanza in commento la SC, confermando una sentenza della CdA di Venezia, ha negato la nullità di una fideiussione conforme allo schema ABI (conformità, quindi, ritenuta provata) perchè l’attore non avrebbe dimostrato l ‘uso uniforme -non già occasionale- di quello schema negoziale’. In particolare, è stato disposto che ‘il carattere uniforme dell’applicazione della clausola contestata è certamente elemento costitutivo della pretesa attorea, essendo la sua necessità pacificamente prevista nel provvedimento della Banca d’Italia su cui l’attore fonda, in buona sostanza, la sua pretesa, in quanto elemento costitutivo del diritto vantata, dunque, esso doveva essere provato dall’attore, secondo la regola generale di cui all’art 2967 cc’.

Si tratta, quindi, della prima pronuncia della SC successivamente alla nota ord. del dicembre scorso n.29810/2017, il cui relatore (dr De Chiara) si era anche recentemente occupato -sempre quale relatore- anche delle note sentenze delle SU sent. n. 24675/17 (sull’usura sopravvenuta) e n. 16303/18 (sulla cs CMS-soglia).

L’ordinanza in commento, tuttavia, risulta -a modesto parere dello scrivente- errata e contraria a norme vigenti nel nostro ordinamento. Peraltro, stupisce anche la scelta di motivare l’ordinanza stessa solo in ‘forma semplificata, non ponendosi questioni rilevanti ai fini dell’esercizio della funzione nomofilattica di questa Corte’. Si ricorda, infatti, che la medesima I sezione della SC (in diversa composizione Pres. Magda – Rel. Caiazzo, ordinanza n. 21542 del 31.08.2018) ha disposto che ‘Data l’oggettiva rilevanza della questione, la causa va rimessa alla pubblica udienza’. La contraddizione, tuttavia, è solo apparente dato che l’ordinanza in commento, seppur pubblicata il 28.11.18, risale al 8.3.18 e, dunque, è precedente alla rimessione in pubblica udienza che attesta, quindi, l’evidente emersione dell’importanza della questione nel corso dei mesi del corrente anno.

Premesso tutto quanto detto, quindi, ci pare opportuno argomentare in merito alle rilevate erroneità contenute nella pronuncia in commento, tali da ‘ispirare’ la paradossale immagine, correlata al presente articolo, secondo cui ‘2+2=3’.

Dalle poche righe della Corte, infatti, apprendiamo che spetterebbe al ‘cliente bancario’ dimostrare che le banche applicano ‘in maniera uniforme’ il testo contrattuale ABI censurato da Banca d’Italia con provv. 55/2005. Tale principio, tuttavia, risulta

a) impossibile (o quasi) da applicare, e

b) contrario alla legge.

L’impossibilità (o quasi) di assolvere tale onere (ovvero, quantomeno, l’irragionevolezza della relativa imposizione), infatti, appare evidente. Non è dato sapere, peraltro, con quali strumenti un ‘consumatore’ (tale è, infatti, la qualifica dell’attore dichiarata dalla SC) possa fornire tale prova, non avendo certo l’attore diritto di accesso a dati di terzi e/o di altre banche e/o di tantomeno di ABI. Peraltro, è noto che i ‘cartelli anticoncorrenziali’ non sono certo pubblicizzati dai loro autori (ABI) nè dai partecipanti (tutte, o quasi, le banche italiane), ma anzi sono sempre fortemente celati. E’ solo con la ‘potenza’ ed i ‘poteri’ delle pubbliche autorità anti-concorrenziali competenti in materia (AGCM dal 2006 e, prima, Banda d’Italia) che tali ‘cartelli’ possono essere dimostrati.

Nonostante detta evidente impossibilità, è il caso di rilevare che l’attività istruttoria svolta dell’esponente (unitamente a quella dei Colleghi Gladys Castellano, Monica Mandico e Francesco Roli) ha permesso di raccogliere decine e decine di fideiussioni/schema Abi, del tutto identiche tra loro, rendendo quindi evidente l’uniformità della relativa diffusione. Tuttavia, tale ‘raccolta’ non può essere certo pretesa dal cittadino, perchè rappresenta attività professionale e di indagine particolarmente complessa.

Non solo.

L’ordinanza de qua, infatti, risulta contraria alla legge. Infatti, dalla lettura della normativa in materia emerge con certezza assoluta il fatto che, in caso di richiamata violazione di normativa anticoncorrenziale già accertata definitivamente dalla relativa autorità (nel caso di specie: Provv. BDI 55/05), incombe sulla banca l’onere di provare il contrario.

Tale evidente, certo ed incontestato principio (evidentemente travisato dalla SC), infatti, è sancito dalle seguenti disposizioni:

(i) D.Lgs 3/2107(in attuazione Direttiva 2014/104/UE), Art 7 I e II co- Effetti delle decisioni dell’autorità garante della concorrenza

1. Ai fini dell’azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti della concorrenza constata da una decisione dell’autorità garante della concorrenza e del mercatodi cui all’articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato. (…)

2. La decisione definitivacon cui una autorità nazionale garante della concorrenza o il giudice del ricorso di altro Stato membro accerta una violazione del diritto della concorrenza COSTITUISCE PROVA, NEI CONFRONTI DELL’AUTORE, DELLA NATURA DELLA VIOLAZIONE E DELLA SUA PORTATA MATERIALE, PERSONALE, TEMPORALE E TERRITORIALE, valutabile insieme ad altre prove.

Atteso che -com’è noto- Banca d’Italia ha esercitato la funzione di tutela della concorrenza nel settore del credito dal 1990 fino a gennaio del 2006 (in virtù delle attribuzioni stabilite dalla legge 287/1990; a partire dal 12 gennaio 2006 le competenze sono state trasferite all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato cd AGCM, legge 262/2005), da ciò discende certamente che il suo provvedimento n. 55/2005 (richiamato dall’ordinanza de qua e mai impugnato) rappresentava piena prova dell’intesa stessa ‘della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale’. E’, dunque, la legge (di derivazione comunitaria peraltro) a conferire natura di prova privilegiata (come, infatti, dispone l’ord. 29810/17 SC) al provvedimento richiamato, senza che -giustamente- al consumatore sia richiesto altro.

Sarà semmai la Banca a poter dimostrare il contrario, ma di ciò nell’ordinanza non vi è traccia alcuna. Ed infatti, è disposto che:

(ii) D.Lgs 3/17 art 14 II comma Valutazione del danno

L’ESISTENZA DEL DANNO CAGIONATO DA UNA VIOLAZIONE DEL DIRITTO ALLA CONCORRENZA CONSISTENTE IN UN CARTELLO SI PRESUME, SALVA PROVA CONTRARIA DELL’AUTORE DELLA VIOLAZIONE.

Nel caso esposto dalla Cassazione in commento, tuttavia, non viene preso minimamente in considerazione tale onere della banca.

(iii) il1° ed 6° ‘Considerando’ della Direttiva 2014/104 UE:

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA,

visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare gli articoli 103 e 114 (..) considerando quanto segue:

1° Gli articoli 101 e 102 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) sono elementi di ordine pubblico e dovrebbero essere applicati efficacemente in tutta l’Unione al fine di garantire che la concorrenza nel mercato interno non sia distorta.(…)

6.Per garantire un’efficace applicazione a livello privatisticoa norma del diritto civile e un’efficace applicazione a livello pubblicistico da parte delle autorità garanti della concorrenza, i due canali devono interagire in modo da assicurare la massima efficacia delle regole di concorrenza.

Nel caso di specie, però, l’applicazione ‘privatistica’ della SC ha evidentemente disatteso i precetti dell’autorità garante e della relativa normativa nazionale e comunitaria.

(iv) Articolo 9 Dir. 104/2014 UEEffetto delle decisioni nazionali

1. GLI STATI MEMBRI PROVVEDONO AFFINCHÉ UNA VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELLA CONCORRENZA CONSTATATA DA UNA DECISIONE DEFINITIVA DI UN’AUTORITÀ NAZIONALE GARANTE DELLA CONCORRENZA O DI UN GIUDICE DEL RICORSO SIA RITENUTA DEFINITIVAMENTE ACCERTATA AI FINI DELL’AZIONE PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO PROPOSTA DINANZI AI LORO GIUDICI NAZIONALI AI SENSI DELL’ARTICOLO 101 O 102 TFUE O AI SENSI DEL DIRITTO NAZIONALE DELLA CONCORRENZA.

2.Gli Stati membri provvedono affinché una decisione definitivaai sensi del paragrafo 1 adottata in un altro Stato membro possa, conformemente al rispettivo diritto nazionale, essere presentata dinanzi ai propri giudici nazionali, almeno a titolo di prova prima facie, del fatto che è avvenuta una violazione del diritto della concorrenza e possa, se del caso, essere valutata insieme ad altre prove addotte dalle parti.

Nel caso di specie, invece, il Giudice nazionale (CdA Venezia prima e SC poi) hanno totalmente ignorato la ‘portata’ probatoria ex se della decisione dell’autorità competente pur in presenza del giudicato della stessa (violando quindi gli artt. 7,14 Dlgs 3/17 nonché le premesse e l’art.9 della Dir.107/14).

Pertanto, così come ‘2+2’ non fa 3 (per tornare alla semplificazione del tema), altrettanto il cliente bancario (ancor più se consumatore) non può essere costretto a fornire la prova diabolica (comunque ora superabile) di dimostrare un uso uniforme di un cartello anti-concorrenziale (già dimostrato dal Porvv. 55/05 BDI). Spetta, semmai, alla Banca l’onere di dimostrare il contrario. In mancaza di tale prova contraria, infatti, ex art 2, III co L 287/1990 ‘Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto’, ed altrettanto deve avvenire per ogni loro applicazione.

In conclusione, quindi, siamo certi che gli Ermellini sapranno applicare i precetti normativi sopra richiamati, riportando in equilibrio il rapporto probatorio cliente/banca e, in particolar modo, in tema di fideiussioni in rispetto ed applicazione a quanto accertato e disposto con il Provvedimento 55/2005 di Banca d’Italia ed il parere AGCM 14251 del 2005.

Livorno, 2 dicembre 2018

Avv. Nicola Stiaffini

(riproduzione riservata)

Vedi il provvedimento:

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