NOTA A CORTE DI GIUSTIZIA C-49/14

Con il presente commento segnalo la sentenza della Corte di Giustizia Europea emessa il 18 Febbraio 206 nella causa C-49/14, ritenendola molto rilevante in tema di tutele del fideiussore consumatore. Nella sentenza in oggetto la Corte di Giustizia prende posizione, affermandolo come esistente, in merito all’obbligo in capo al Giudice dell’esecuzione di rilevare l’esistenza di clausole abusive all’interno di un contratto concluso con un consumatore, nell’ipotesi in cui detto controllo non sia stato effettuato in precedenza e il contratto abbia condotto all’esecuzione forzata.

La vicenda presa in considerazione dalla Corte concerne in particolare un titolo esecutivo passato in giudicato per mancata opposizione, titolo costituito dall’ordine di ingiunzione regolato dal diritto spagnolo.

La Corte europea, facendo applicazione di uno dei principi cardine dell’Unione, il principio di effettività della tutela, ha stabilito che qualora all’ingiunzione di pagamento non sia seguita la fase di opposizione a cognizione piena, deve essere riconosciuta al Giudice dell’Esecuzione, nonostante la forza di giudicato acquisita dall’ingiunzione, la facoltà e l’obbligo di rilevare la nullità delle clausole abusive contenute nel contratto sulla base del quale l’ingiunzione è stata emessa.

Vediamo quindi come questo principio possa essere adattato al diritto interno italiano.

Anche in Italia è previsto l’ordine di ingiunzione a procedimento sommario, si tratta, come noto agli operatori del diritto, del procedimento che conduce all’emissione del decreto ingiuntivo.

Il decreto ingiuntivo, in caso di mancata opposizione nel termine di 40 giorni dalla sua notificazione, acquisisce efficacia di giudicato, diventa quindi irretrattabile.

Il Giudice che pronuncia l’ingiunzione, ai sensi dell’art. 633 del codice di procedura civile, è tenuto ad emettere il decreto, quando il creditore possa provare per iscritto il proprio diritto.

Il Giudice del decreto ingiuntivo quindi emette il proprio ordine di pagamento in assenza di contraddittorio. Se ne deduce quindi che detto Giudice non ha la situazione a tutto tondo sulla propria scrivania, ma solo gli elementi che fornisca il creditore, elementi che ad una cognizione sommaria lascino dedurre l’esistenza del credito.

E’ noto che dal 2014 in avanti la Cassazione, nelle sentenze gemelle, ha stabilito che il Giudice, avanti al quale risulti pendente una vicenda inerente un contratto viziato da nullità di protezione, debba sollevare in contraddittorio tra le Parti la questione di nullità, al fine di recepire la volontà del consumatore di volersene avvalere. Ricordiamo infatti che la nullità di protezione può essere eccepita solo dal Consumatore, al quale è altresì concessa la facoltà di decidere se avvalersene o meno.

Ebbene lo strumento del contraddittorio sulla nullità è impedito dalla particolare natura del procedimento che conduce all’emissione del decreto ingiuntivo, e quindi sulla nullità delle clausole abusive per violazione delle tutele a favore del consumatore, non è tecnicamente possibile che venga sollevato il necessario contraddittorio con il debitore consumatore.

Se questo è il quadro giuridico di riferimento, e lo è, risulta evidente che in sede di opposizione all’esecuzione l’efficacia di cosa giudicata, acquisita dal decreto ingiuntivo non opposto, non possa essere invocata dal Giudice e dal Creditore per negare la tutela al Consumatore.

A questo punto vediamo su quali clausole della Fideiussione principalmente il Fideiussore Consumatore potrà invocare la nullità di protezione.

La normativa a cui occorre riferirsi è l’art. 33 del Codice del Consumo.

Il primo comma del suddetto articolo così recita:

1. Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.”

Il primo comma quindi dà un’impostazione di risultato, stabilendo che sono vessatorie e quindi nulle tutte le clausole che determinano uno squilibrio tra professionista (nel caso della Fideiussione la Banca) e consumatore (il Fideiussore).

E’ a questo comma che occorrerà quindi sempre richiamarsi in presenza di clausole che determinino lo squilibrio delle posizioni.

Il secondo comma dell’art. 33 prosegue:

“2. Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di:

b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;”

“r) limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore;”

Questa fattispecie (lettura congiunta delle lettere b) e r) dell’art.33) ricorre nell’ipotesi in cui la Banca si sia riservata il diritto di derogare all’art.1957 c.c. ossia si sia concessa la facoltà di non recuperare il proprio credito nei tempi previsti dal codice civile (due o sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione) nei confronti del debitore principale, sotto pena di perdita della Garanzia.

Mediante la rinuncia alla tutela stabilita dall’art.1957 c.c. quindi il fideiussore consumatore rinuncia alla facoltà di eccepire l’inadempimento della Banca.

La clausola è vessatoria e quindi nulla.

Potrà essere sollevata quindi la decadenza della Garanzia anche nell’ipotesi di decreto ingiuntivo non opposto.

“f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo;”

“l) prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto;”

La lettura congiunta delle due lettere sopra riportate ( f) e l) art.33) conduce ad individuare come abusiva, e quindi nulla, la clausola secondo cui il fideiussore si sia obbligato a pagare lo stesso interesse di mora del debitore principale, senza avere facoltà di conoscerlo al momento della sottoscrizione della Garanzia. Ciò è tanto più vero con riferimento alle Fideiussioni omnibus che hanno lo scopo di garantire debiti non ancora sorti.

Inoltre la misura dell’interesse di mora, che è solitamente molto alto, è altresì di importo sproporzionato rispetto all’eventuale inadempimento del Fideiussore, il quale è bene ricordarlo diviene concretamente debitore della Banca solo nel momento in cui vengano revocate le facilitazioni creditizie al debitore principale e vi sia la messa in mora. Solo in questo momento scatta l’obbligo al pagamento del Fideiussore.

Nel momento della revoca dei finanziamenti, al debitore principale, a causa del proprio inadempimento che certamente si protraeva da tempo, la Banca applica interessi di mora, i quali  fatalmente ricadono sul fideiussore, che invece è divenuto “da poco” inadempiente, per effetto della messa in mora (cinque giorni di regola).

“t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi;”

L’applicazione della lettera t) dell’art.33 conduce inesorabilmente alla nullità delle clausole della Fideiussione che prevedano le limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni inerenti il rapporto tra debitore principale e creditore da parte del Fideiussore. Quindi al Fideiussore consumatore sarà sempre consentita l’eccezione inerente l’anatocismo e l’usura del rapporto principale e ciò anche nel caso in cui non si sia opposto al decreto ingiuntivo notificatogli e si sia già in fase di esecuzione.

Il contratto autonomo di Garanzia è quindi inefficace e nullo (quanto meno parzialmente) nei confronti del Fideiussore Consumatore e quest’ultimo è in tempo per far valere le proprie ragioni anche durante l’esecuzione, se non si sia opposto al decreto ingiuntivo.

Un ultimo velocissimo cenno in merito alla forza che hanno le decisione della Corte di Giustizia nel nostro ordinamento, al fine di spiegare nelle nostre difese che il Giudice Italiano non può disinteressarsi dei principi stabiliti dalla Corte.

Le decisioni della Corte di Giustizia hanno forza di Regolamento.

Questo approdo è stato stabilito dalla sentenza n.389 del 1989 della Corte Costituzionale.

I Regolamenti sono direttamente applicabili dal Giudice Italiano, ai sensi dell’art.11 della Costituzione.

In sintesi il Giudice Italiano è tenuto ad applicare i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia, perché questi principi hanno la forza del Regolamento. Non applicare quanto previsto dalla Corte Europea equivale a non applicare la Legge.

Chi ha orecchie per intendere intenda.

Link alla sentenza Corte di Giustizia C-49_14 del 18 Febbraio 2016